SCENA VII
 
 
Cecilio solo.
 
 
Cecilio
 
 
Ombre de' lazi eroi, che qui d'intorno
 
 
tacite v'aggirate,
 
 
l'oppressa libertà deh vendicate.
 
 
Ogni ordine ha sconvolto
 
 
l'iniquo dittator. E mille e mille
 
 
esecrandi delitti
 
 
stancar la crudeltade ancor non sanno
 
 
di quell'alma orgogliosa;
 
 
ma tenta altrui rapir perfin la sposa…
 
 
Giunia, mio dolce amor.
 
 
Deh quanto tardi
 
 
a presentarti agli occhi miei! Sapesse
 
 
la cara sposa almeno
 
 
ch'io qui l'attendo! Oh come presto a volo
 
 
giunger io la vedrei!… Ma Cinna, oddio,
 
 
non avrebbe di troppo
 
 
lusingato il mio cor?… No. Vive Giunia
 
 
all'amor mio costante,
 
 
né l'insane lusinghe o un vil timore
 
 
ponno cangiar della mia Giunia il core.
 
     
 
    Dolci aurette, deh portate
 
 
questi accenti al caro bene.
 
 
Sappia almen, fra mille pene,
 
 
che l'attende il suo fedel.
 
 
Dolci aurette… Ah i miei voti
 
 
accogliete pietose… Eccola… Oh gioia!
 
 
Ma oddio! sola non è… Che far degg'io?
 
 
Qui in disparte si attenda
 
 
l'opportuno momento
 
 
per discoprirmi a lei.
 
 
Siatemi voi propizi, eterni dèi!
 
 
(Si ritira.)
 
 
SCENA VIII
 
 
Giunia con seguito di domestici, Cecilio in disparte.
 
 
Giunia
 
     
 
    Dal fortunato Eliso,
 
 
padre, i miei voti intendi:
 
 
la figlia tua difendi,
 
 
consola il suo dolor.
 
 
Lasciatemi pur sola; e al pianto mio,
 
 
fidi servi, lasciate
 
 
libero il corso almen fra questi orrori.
 
 
(Partono i servi.)
 
 
Giunia
 
 
Ombra amata del padre,
 
 
e quanto tardi ancora
 
 
a vendicar te stessa,
 
 
e la romana libertade oppressa?
 
 
E tu del mio Cecilio alma diletta,
 
 
se tanto Giunia amasti,
 
 
e perché non ti movi
 
 
al mio crudele affanno,
 
 
perché in preda mi lasci al rio tiranno?
 
 
Vola, vola, soccorri
 
 
la tua sposa fedel, ch'altro non chiede
 
 
che di poter seguirti.
 
 
Cecilio
 
 
(Oh bella fede!)
 
 
(S'avanza.)
 
 
Eccomi, o cara; ecco Cecilio. Intesi
 
 
le amorose tue voci. Eccomi…
 
 
Giunia
 
 
Oddio!
 
 
Tu?… Numi!…Chi vegg'io?…
 
 
Cecilio
 
 
Giunia.
 
 
Giunia
 
 
Cecilio.
 
 
Cecilio
 
 
A che ritiri il piede,
 
 
sposa cara e fedel? Ben a ragione
 
 
paventar io ti veggio;
 
 
ma sappi…
 
 
Giunia
 
 
Ah ch'io qui sogno oppur vaneggio!
 
 
Giunia
 
     
 
    Dèi pietosi, in questo istante
 
 
credo appena agli occhi miei.
 
 
Sposo amato, oddio, tu sei,
 
 
non m'inganna il troppo amor.
 
 
Cecilio
 
     
 
    Non t'inganni, amata sposa:
 
 
rasserena il tuo bel ciglio.
 
 
Fa' che sprezzi il mio periglio
 
 
la costanza del mio cor.
 
 
a due
 
 
Dolce sposo|sposa, in tal momento
 
 
del passato mio tormento
 
 
la dolcezza è assai maggior!
 
 
Giunia
 
 
Del tiranno ai sguardi irati,
 
 
Deh ti cela, o mio tesoro.
 
 
Cecilio
 
 
No, la patria, il ben che adoro
 
 
vengo solo a vendicar.
 
 
Giunia
 
 
Troppo ardire…
 
 
Cecilio
 
 
Temi invano.
 
 
Giunia
 
 
Il destin…
 
 
Cecilio
 
 
…sarà felice.
 
 
Giunia
 
 
Il tiran…
 
 
Cecilio
 
 
…per questa mano
 
 
il suo sangue ha da versar.
 
 
a due
 
     
 
    Ah se vana è tanta speme,
 
 
non paventi un cor romano:
 
 
col morir potremo insieme
 
 
tanti affanni terminar.
 
 
(Partono divisi.)
 
 
Fine dell'atto primo.
 
 


Avviso intorno al Ballo I

Il nuovo ballo, che ora si presenta, ha per soggetto il Solimano II o, se si vuole, la Francese Trionfante, per la prima volta immaginato ed esteso dal signor Marmontel in una delle sue bellissime novelle morali, poi dal signor Favart ridotto in commedia ad uso del teatro francese. Dall'una e dall'altra di queste opere dunque è ricavato il presente ballo; e se in alcuni luoghi avvien ch'egli si discosti dal dettaglio de' suoi originali, ciò è per adattare il soggetto stesso all'arte pantomima, la quale avendo le sue particolari bellezze, non è suscettibile di quelle che proprie sono delle altre arti sue sorelle. Chiunque avrà letto i due sopraccennanti lavori, vedrà quanto siasi studiato di conservar anche nel pantomimo la varietà de' caratteri e quella leggiadria che forma il ballo di un soggetto omai ammirato da tutta l'Europa. Coloro poi che non conoscono né la novella morale né la commedia suddetta sperasi nondimeno che fiano per trovarsi un'azione completa con un principio, un mezzo e un fine, coll'unità di tempo, di luogo ed azione tal quale la prescrivono i maestri dell'arte poetica. L'autore si è prefisso di far rappresentare, per quanto ha potuto, la commedia ballata nella sua semplicità, adorna di sé stessa ed ingentilita dalla danza, dalla pittura, dalla musica e dalla pompa degli abiti, tentando così d'imitare, benché rozzamente, quella venustà con cui siffatti lavori comparirono già nel teatro greco e romano. I cambiamenti che vi si trovano vengono tutti autorizzati o dall'uno o dall'altro de' sopraccennati componimenti. Il soggetto si adatta perfettamente all'arte pantomima e, se i colori de' quali l'autore si è servito non lo sfigurano, giova sperare che i veri conoscitori ne saranno contenti.