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Al Signor Amadeo Wolfgango Motzart.
Genietti lepidi,
   Genietti voi,
   qua prestò rapidi,
   ch’io v’invitai,
   Fate corteggio
   al dolce arpeggio.
Nò non ingannomi,
   voi siete quelli
   vezzosi, amabili,
   cortesi, e belli,
   che a danze liete
   sempre sedete.
E Grazie e veneri
   vengan con voi;
   Piacer vi deggiono
   I pregi suoi:
   Genietti, ei v’ama,
   suona, e vi chiama.
A’ la bell’indole
   ai capei d’oro,
   quasi uno sembrami
   Del vostro coro:
   come furbetti
   son quegli occhietti!

INTERNATIONALE
STIFTUNG:
„MOZARTEUM”
1881
[S. 2] increment_line_height_2decrement_line_height_2
Non v’ innamorano
   Le vermigliuzze
   Guance molissime,
   e’ ritonduzze?
   Stiansi librate
   L’ali dorate.
Non v’innamorano
   que’ vivi accenti,
   che in note or languide,
   ora vementi
   Gorgheggia spesso
   Con Febo istesso?
Vè come tremola
   Le dita, e vibra?
   Al docil cembalo
   Tenta ogni fibra;
   e a voi fa parte
   De l’agil arte.
Europa videlo
   In fresca etade
   Di se riempiere
   Le sue contrade;
   Guai, se l’udiva
   la cipria diva.
Dunque a che nojavi
   Tardare un pocco?
   Egli può accendervi
   Del suo bel foco;
   Genietti, e’ v’ama
   Suona, e vi chiama.
[S. 3] increment_line_height_2decrement_line_height_2
E se la nobile
   santa armonia,
   che i pensier torbidi
   Da l’alma obblia,
   Che desta in petto
   l’astro, e l’affetto.
Tanto dilettavi,
   Ralegra e piace,
   Frenate il colere
   volo fugace;
   cessa nò, se udite,
   più non partite.
Picciol fasciolo
   Di scelti fiori
   le tempie tenere
   Intanto onori;
   voi giel recate,
   Genii, e n’andate.
Di me tacetegli
   qual io mi sia,
   assai più nobile,
   e’ grata fia
   quella corona,
   che un Genio dona.
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