[…]Der Beginn des Handlungsentwurfs ist nicht überliefert. che senza la scorta d'Amore sarebbe stato ad altri impossibile a ritrovarsi. Smosso un sasso dopo l'altro, le riuscì in breve di far un pertugio tale che, sapendolo gli amanti, avrebbero facilmente potuto l'una e l'altra sortire ad abboccarsi assieme; esse dall'una e gli altri dall'altra riva della fossa. Né infatti vi vennero più di due volte, che il sollecito Biondello per virtù d'Amore vi s'imbattè, ed avvisatone pure Calandrino, ebbero quivi occasione di trovarsi spesso con esse a ragionamento, consolandole colla speranza di liberarle presto con qualche felice inganno. Usò però la sagace Celidora la precauzione di coprire, ogniqualvolta ci veniva e partiva, il pertugio dentro e fuori, sicché non venisse osservato colle solite frondi.
 
 

     Avea Biondello il superbo suo palazzo dirimpetto a quello del marchese, a cui non la cedeva punto né in grandezza e maestria, né in bellezza e ricchezza. Sopra il portone magnifico vi si leggeva a caratteri d'oro artificiosamente scolpiti questo verso: "Tutto con arte ed or ottiensi al mondo". Questo verso era appunto il martello di Don Pippo, ond'egli non cessava d'invidiare Biondello, motteggiandolo ad ogni tratto ed in ogni occasione. Volendo dunque ad un banchetto, ove ambidue erano convitati, contrastargli audacemente la verità di tal motto, s'avvanzò a dirgli che, se in prova di ciò con arte ed oro gli bastasse l'animo d'introdursi in termine d'un anno nella torre e s'abboccasse con Celidora, gliela darebbe in isposa, e ciò disse egli, poiché credeva assolutamente vano ogni umano attentato. A tal proposta Biondello, ridendo, rispose che non solo sperava d'entrarvi per arte ed oro, ma per ordine di lui proprio. Risposta sì ardita era fondata sulla goffaggine del marchese, sulle proprie ricchezze e sull'abilità di Calandrino suo amico. Questo era un giovane faceto, un industrioso inventore e meccanico eccellente. Era perdutamente innnamorato di Lavina, ma da lei per semplicità non corrisposto che freddamente. A questo dunque riccorse Biondello, chiedendogli consiglio ed aiuto e promettendogli larghissima ricompensa. V'acconsentì Calandrino e chiese solo per ricompensa che, ottenendo Biondello Celidora, s'adoprasse per lui in procurargli Lavina. Restarono d'accordo, ed essendo l'anno presso a spirare, Calandrino si mise a fabbricare segretamente un'oca di sì smisurata grandezza, che potea agevolmente capirvi un uomo, e gli riuscì sì al naturale, che ognuno dippoi ne restava ingannato. Fatta la macchina, restarono i due amici di concerto di spedirla nascostamente a qualche amico fuor del paese, il quale, qualche giorno prima del decisivo, arrivasse chiuso nell'oca con iscorta d'una donna a Ripasecca, per farla vedere al publico e per allettare Don Pippo a farla ammirare da Celidora e sua compagna nella torre. Biondello si rimise in tutto a Calandrino, e questo, senza però far menzione all'amico di Pantea e della loro corrispondenza, spedì l'oca a Pantea in un luogo di là dal mare ove ella tutta incognita soggiornava, informandola d'ogni cosa, particolarmente delle operazioni che detto animale doveva fare, con disegno che avesse poi ad entrarvi Biondello e così venir introdotto nella torre. Le raccomanda d'arrivare al termine prefisso e di venir travestita in maniera che non possa essere scoperta da persona alcuna.
 
 

     Avea Don Pippo destinata sua figlia ad un certo conte Lionetto di Casavuota, contea situata trenta miglia lungi da Ripasecca; il tutto però senza saperne la di lui intenzione, egli gliela esibì in vero con una sua lettera, a cui però il conte, uomo amante della libertà, perciò alieno dal matrimonio, non diede giammai risposta, molto meno intenzionato di venirvi in persona. Su questo vano fondamento di tali nozze e delle sue con Lavina, per publicamente mortificare e svergognare Biondello, di cui egli sempre si burlava, un mese prima che spirasse l'anno accordato a Biondello nel publico banchetto invitò con lettere circolari tutti quelli del suo vicinato e d'altri contorni ad una gran fiera, che doveva servire a solennizare colla quantità di popolo più pomposamente il giorno di dette nozze. L'anno è già alla fine, spunta il giorno fatale e già la fiera incomincia con innumerabil concorso.
 
 

     N.B.: Qui incomincia l'azzione del dramma.
 
 

     Il giorno s'avvanza, e Pantea coll'oca non comparisce ancora. Biondello e Calandrino ne sono estremamente agitati, tanto più che vedono turbarsi il mare, e già più non dubitano dell'ultima loro sciagura. Sì dura necessità, disperando dell'oca, suggerisce a Calandrino di gettare così in fretta un ponte su quella parte occulta della fossa dove essi eran soliti convenire colle loro amanti. Consultano assieme e trovano necessario dar buone parole e prometter buona somma di denaro ad Auretta ed a Chichibio, con sicurezza di farli sposi ricchi e felici ancor in questo giorno, purché almeno per un'ora, finché fosse fatto e gettato il ponte, nascondessero al marchese i suoi vestiti sicché non potesse sortire, standosene essi intanto lontani dal palazzo.
 
 

     Così si fece, e questi promisero il tutto, ma poi, inebriati dalla speranza e perdutisi in ragionare de' loro amori e della vicina loro felicità, troppo si trattengono per via, ed intanto il marchese, vestitosi da sé, esce così soletto, ed essendo in quel giorno più sollecito che mai, va visitando tutti i contorni della rocca, finché giunge al luogo, dove trova chi lavora a fabbricar il ponte. Chichibio ed Auretta, andati troppo tardi a casa, s'avvedono che il padrone non c'è, corrono ad avvisare Biondello e Calandrino esser egli sortito, trovansi quivi tutti ed anche Celidora e Lavina che erano venute per una scala a piuoli sulle mura a veder fabbricare il ponte, nasce un gran contrasto che servirà di finale del primo atto.
 
 

     Il secondo atto incomincia con una tempesta di mare. Il cielo è nero, tuona e lampeggia. Il mare è tutto sconvolto. Si vede di lontano una nave che travaglia per arrivare in porto; un vento impetuoso finalmente ve la spinge. V'accorre gran popolo, ma, primi d'ogn'altro, Biondello e Calandrino, tutti giulivi, che invitano il popolo e quelli che sbarcano a cantare durante lo sbarco un piccolo coro d'allegrezza. Sbarca quantità di gente che viene alla fiera. L'ultima di tutti è Pantea, che si dà il nome di Sandra, in abito straniero e tinta il volto di nero, sicch'è impossibile anche allo stesso marito il riconoscerla. Conduce seco l'oca ch'è ricoperta d'un velo trasparente e dice venire dal Cairo. Vi s'affolla il popolo e l'esibisce denaro per veder sì raro animale, e Pantea, preso il denaro, si pone in un luogo eminente e, raccolta dagli altri nuova somma, scuopre finalmente l'oca e le fa fare de' giuochi che sorprendono chi non sa qual oca sia.
 
 

     Biondello e Calandrino si ritirano, vedono fra la folla Chichibio che, invece d'andare a far le necessarie proviggioni per la gran cena, se ne sta a bocca aperta a mirar l'oca. Vanno dal marchese, dove poco dopo sopragiunge Chichibio tutto ansante, dice non aver peranco ritrovato nulla a proposito per la cena, ma aver bensì trovata un'oca che, essendo d'enorme grandezza, sola basterebbe per una cena lautissima l'altrettanti convitati. Ne fa a suo modo la descrizzione, che mette il marchese in curiosità di vederla, ma più a ciò l'inducono le persuasive di Biondello e di Calandrino. Ordina dunque che gli sia condotta innanzi. Pantea ve la conduce, egli la vede, l'ammira ed alle operazioni veramente umane resta strassecolato e dice che in fatti non le manca che la favella. A ciò risponde Pantea che l'oca sa anche parlare, ma che dalla paura della burrasca sofferta l'era caduta l'ugola, ma che se potesse condurla tutta sola in qualche giardino murato, con una cert'erba che vi cresce intorno alle mura, fino a sera le farebbe ricuperare la favella. "Giacch'è così", soggiunge il marchese minchione, "io ho appunto un giardino come voi dite; andateci pure, ed in quest'occasione divertirete mia figlia e la mia sposa che sono là entro; Calandrino vi condurrà fino alla porta, ma non più oltre"; ed infatti manda subito un ordine scritto alle guardie di non lasciar passare altri che l'oca e sua condottrice. Invita questa e l'oca alle sue nozze; Pantea accetta l'invito, lo ringrazia, e lo stesso fa l'oca co' gesti. Calandrino le conduce verso la rocca, ma prima, secondo l'appuntamento già fatto, si ritirano in un albergo soliltario sulla via che porta a detta rocca, e quivi, sotto pretesto di refocillar l'oca, Pantea si chiude in una camera aspettando Biondello già informato di tutto, e Calandrino se ne ritorna dal marchese, che ritrova appunto con Biondello e colla sua corte in mezzo della fiera.
 
 

     N.B.: Qui la scena rappresenta la fiera, che s'estende fino alla rocca ed alquanto più oltre.
 
 

     La parte principale della rocca, che si vede, è la torre alta quattro piani e l'alte mura che formano un semicircolo e rinchiudono il giardino, di cui non si vede che le cime de' più alti cipressi. La torre è sì vicina alle mura, che da essa si può facilmente vedere e discorrere con chi passa. In questa parte, ch' è diversa da quella del primo atto, dove si vede il pertugio, non ci sono né porta né guardie, ma bensì la fossa ed il bastione che circondano le mura. Sulle fenestre del primo piano della torre vi sono Celidora e Lavina che osservano la fiera e se la discorrono assieme. Di là poco lontano si vedono de' ciurmatori che vendono balsami ed altro e cavano denti; sono attorniati da molta gente, gestiscono, ma non parlano.
 
 

     Mentre Don Pippo tutto allegro parla colla sua Lavina, ch'è alla fenestra, e non riceve da lei che risposte sprezzanti, e Biondello, fingendosi mesto, parla in presenza del marchese con Celidora, congratulandosi seco lei delle imminenti nozze col conte Lionetto, e ciò non senza qualche altercazione con Don Pippo, arriva in fretta Calandrino con una truppa di gente che si chiama offesa ed ingannata da un ciurmatore e riccorre al marchese per averne così su due piedi la dovuta sodisfazione. Calandrino prende a difendere la gente offesa, e Biondello il reo, avendosi prima tra loro con un'occhiata e con un cenno intesi di mettere in confusione il marchese, il quale fattasi portare la sua poltrona siede in tribunale così in sulla strada dirimpetto alla torre. V'accorrono anche Auretta e Chichibio, ed asseriscono essere stati ancor essi gabbati. Il marchese, confuso da sì forte arringo, dimanda alla semplice Lavina il di lei parere, la quale, scusandosi, si rimette in Celidora. Questa, non volendo dar torto a Biondello, non risponde a tuono, e Don Pippo finalmente, incalzato dall'avvocato della turba che furibonda si muove a renderle giustizia, pronunzia una sentenza sì balorda, che il popolo infuriato gli s'avventa, e chi gli tira da di sotto la sedia e la getta nella fossa, chi gli strappa dalle mani il bastone, chi la spada dal fianco e chi di capo la perucca, sicché egli è obbligato di salvarsi dalla furia del popolo e di rifugiarsi nel suo palazzo; e questo tumulto formerà il finale del secondo atto.
 
 

     La scena prima dell'atto terzo rappresenta un bosco lungo la via che porta alla rocca e che dietro a questa confina col monte, parte opposta a quella del primo atto, e da questa parte si vede un ponte levatoio con guardie, ed un portone. In mezzo al bosco è situato l'albergo solitario dov'è nascosta Pantea con l'oca. Quivi si trovano Biondello e Calandrino, scappati dal tumulto del secondo atto e perdutisi assieme fra la folla. In una stanza a pianterreno di detto albergo si vede Pantea che si scuopre a Biondello, il quale tutto allegro entra nella macchina donde l'uomo che v'era è sortito. Calandrino si raccomanda all'oca e le rammenta la sua promessa, la conduce alla rocca, ed essendovi quella colla sua condottrice intromessa, se ne ritorna addietro.In seinem Brief an den Vater vom 24. Dezember 1783 (BD 773, Z. 43–49) geht Mozart vermutlich auf die Vorschläge des Vaters in dessen verschollenem Brief vom 19. Dezember ein, „Biondello in thurm zu bringen“ (vgl. den Handlungsentwurf zu Atto terzo, Scena I: Quelle C2, Bl. 20r, Z. 15–25).
Laut Entwurf ist intendiert, dass Biondello im Innern der Gans von Pantea (Sandra) in den Turm gebracht werden soll. Möglicherweise hat der Brief des Vaters einen Vorschlag zu einem Feuerwerk enthalten, das jedoch weder in Quelle C1 noch in Quelle C2 vorkommt.

Vgl. BD 773, Z. 43–49, in: Mozart Briefe und Dokumente – Online-Edition, herausgegeben von der Internationalen Stiftung Mozarteum, Salzburg (Projektleitung DME: Ulrich Leisinger, Projektverantwortliche: Anja Morgenstern):

[…] auf ihren guten Einfall dem Biondello in thurm zu bringen, bin ich sehr begierig. – wenn er nur komisch ist, wir wollen ihm gerne ein bischen unartürlichkeit erlauben. – wegen einen kleinen feuerwerk bin ich gar nicht im Sorgen. – es ist hier so eine gute feuer ordnung daß man sich vor einen theater feuerwerk gar nicht zu förchten hat. – dann wird Ja hier Medea so oft gegeben: worin zulezt die hälfte des Palasts zusammen fällt, die übrige hälfte in feuer aufgeht. […]„
 
 

     La seconda scena è l'appartamento di Don Pippo.
 
 

     Siede Don Pippo in una sua camera, in abito di gala caricato su una poltrona, facendosi leggere da Chichibio la lista de' piatti della cena, la quale sarà ridicola. Gl'interrompe Calandrino, che viene tutto smanioso e racconta al marchese come Biondello, disperando di poter più entrar nella torre e di conseguir Celidora, né soffrendo vederla in braccio altrui, per non trovarsi con tanto suo scorno a queste nozze, prese un battello, e così solo dice averlo veduto abbandonarsi all'onde per non ritornarsene mai più addietro. Sopraggiunge Auretta e piangendo dice averlo inteso anch'essa.
 
 

     Don Pippo se la ride a crepa pancia e già canta vittoria, meditando fra sé d'impossessarsi, come signor territoriale, de' di lui beni. Ordina che tutti i suoi domestici siano in gala e pronti a seguirlo alla rocca, di dove vuol condurre a casa le due spose; lamentandosi che non giunge ancora il conte Lionetto, dà a Calandrino suo nipote gli ordini di restarsene a palazzo, di mettere tutto il resto in ordine e di fare le sue veci e gli onori della casa, arrivando il conte di Casavuota od altri forastieri.
 
 

     Chichibio ed Auretta restano pure in casa per lo stesso fine, come subordinati a Calandrino, e frattanto vanno anch'essi conchiudendo le loro nozze.
 
 

     Non essendo ancora notte né terminata la fiera, Don Pippo s'incamina con tutto il resto della sua corte, tutta vestita in caricatura, verso la rocca, seguito da un'infinità di curioso popolo, ed arrivando egli vicino alla rocca sicché possa esser veduto, compariscono Celidora e Lavina ad una fenestra tutte festeggianti e vestite in gala, avendo in mezzo di loro l'oca, che col lungo suo collo fa mille scherzi, dando al marchese il benvenuto. Mentre li si trattiene nella torre, Calandrino si trastulla con Auretta e Chichibio e riconferma loro, anche in nome di Biondello, la promessa di fargli ancor questa sera sposi felici.
 
 

     Lungo il bastione vedesi di lontano venire una quantità di popolo, ed ecco Don Pippo che ritorna colle due zittelle libere dalla loro prigione e con l'oca e sua condottrice, la quale, data di nascosto in mano a Celidora la corda con cui è legata l'oca, poco a poco si perde fra la moltitudine, si ritira all'albergo solitario di prima, ove si traveste in altra foggia, si lava il volto e le mani sicché diventa bianca, poi ritorna e, meschiatasi fra la folla, viene con questa a palazzo, tenendosi però sempre discosta da chi potesse conoscerla.
 
 

     Il marchese, non vedendo più Sandra, dimanda d'essa a Celidora, che gli risponde averle ella consegnata l'oca e detto che andava in un albergo per raffazzonarsi un poco al fine di comparir più pulita alle nozze. Egli se la beve e s'acchetta, ed intanto entrano in palazzo.
 
 

     Qui la scena rappresenta il gran salone, dove si vedono Calandrino, Chichibio ed Auretta, a' quali s'uniscono poi tutti gli altri personaggi con seguito e parte del popolo, ed anche Biondello ch'è l'oca e sta nel mezzo; ma Pantea si scuopre solo tra la gente da un abito distinto.
 
 

     Don Pippo fa alle zittelle una parlata sopra la loro prigionia e sopra la libertà presente, che va a finire collo stato coniugale, prescrivendo loro leggi a modo suo. Se la ride di Biondello, e l'oca co' gesti lo seconda. Si dimostra egli impaziente dell'arrivo del conte Lionetto. Sentendo ciò, Chichibio parte e di lì a poco ritorna tutto in furia gridando: "il conte Lionetto di Casavuota è qui, è qui". Don Pippo, tutto allegro, vuol corrergli incontro, ma poi riflette ed ordina a Chichibio di condurlo ben adagio, trattenendolo in sulle scale finch'egli s'assetti la perucca e si spolveri le scarpe per andarlo a ricevere tutto lindo e profumato. Chichibio va a mettersi in fretta un paio stivali da corriere, un abito da viaggio ed un peruccone, il tutto caricato, sicché subito non è conosciuto, s'avvanza con passo grave, ed avvicinatosi al marchese che va col suo seguito ad incontrarlo, dice: "ecco il conte Lionetto di Casavuota qui sottoscritto", cavando nell'atto stesso di tasca una lettera sudicia ed aperta che dice averla trovata in cucina sul focolare ed essere stata portata da un carbonaio. Il marchese, leggendo la lettera, ch'è poco civile, si conturba e scaglia improperi contro il conte, minacciando poi Chichibio per aver aperta e letta la lettera. Questo trova una scusa ridicola e se la passa in burla.
 
 

     Disperato Don Pippo di non avere uno sposo per Celidora e volendo tuttavia maritarla in questa sera, la esibisce a Chichibio; questo resta perplesso, Auretta protesta e Celidora lo ricusa, dicendo non voler altri che Biondello. Il padre la sgrida e dice che Biondello non lo vedrà mai più, perché s'è annegato, ma se mai si fosse anche salvato e ritornasse, tuttavolta non se lo speri, poich'egli non fu capace di tener la sua parola entrando nella torre; la offre dunque per di lei maggior dispetto al primo che s'appresenta, e le si fa subito avanti l'oca e co' suoi scherzi mostra esser ella lo sposo, ciò che muove tutti alle risa, e Don Pippo si lagna che ancora non parli. Celidora risponde che l'erba non può peranco fare il suo effetto, ma che lo farà in brevissimo tempo; replica non voler altro sposo che Biondello; in difetto, giacché l'oca è un papero, lo dichiara suo sposo, poiché Sandra gliel'ha donato. Tutti la burlano, ed intanto incomincia a suonarsi l'introduzzione al finale.
 
 

     Qui Pantea s'inoltra fra la gente fin dietro le spalle del marito, senza esser da esso osservata né da altri conosciuta, tenendosi a tal fine un fazzoletto alla bocca, e nel tempo stesso Calandrino s'avvicina alla sinistra di Lavina, e Chichibio a quella d'Auretta, non dipartendosi il papero dal mezzo di Celidora e del marchese.
 
 

     Don Pippo dice a' convitati che questa musica significa esser tutto preparato per la cena e per il ballo, né altro mancarvi che il darsi la mano. Si burla di nuovo di Biondello, come anche di Celidora, poiché diventa sposa d'un papero, indi si rivolge a Lavina e le comanda di dargli la mano. Essa dopo qualche ripugnanza promette di dargliela, e mentre dice "eccoti la mia destra" ed egli ha in aria la sua per porgerla a Lavina, deve subito voltarsi verso Chichibio ed Auretta, che così istrutti l'interrompono dimandandogli d'esser anche loro sposi, e nello stesso momento ch'egli sta in quell'attitudine e dice colla mano in aria ed in fretta di sì agli altri due, Pantea subentra a Lavina e stringe la destra di Don Pippo, e Lavina quella di Calandrino, e rivoltatosi il marchese, credendo aver per mano Lavina, si trova avere Pantea sua vera moglie. Resta sbigottito e fuor di sé.
 
 

     Pantea comanda al papero che parli, e Biondello, scosse da sé le spoglie d'oca, si scuopre, porge la destra a Celidora e ringrazia Don Pippo d'averlo egli stesso servito di mezzano introducendolo nella torre com'ei gli predisse. Poi esso e Calandrino promettono a Chichibio ed Auretta già sposi d'effettuar quanto prima la loro promessa.
 
 

     Così Don Pippo, tutto confuso e beffeggiato da tutti, si trova costretto a celebrare, invece delle nozze colla seconda moglie, le seconde nozze colla sua prima moglie; e le grandi spese che avea già fatte per sua pompa e fasto servono ora per diletto altrui e per sua vergogna.
 
 

     Ma in tal vessazione finalmente avvedutosi della sua balordaggine e rivenuto in sé stesso, promette mutar sistema di vita, di tener ottima compagnia alla moglie e d'esser amico di tutti, particolarmente di Biondello e di Calandrino. Dichiara suoi eredi Celidora e Calandrino suo nipote, dona a Chichibio ed ad Auretta un capitale di venticinquemila scudi, Biondello dona a Chichibio una delle sue belle case di città, e Calandrino ad Auretta un suo ricco podere con casa di campagna, e così tutti, invece di burlarsi più del marchese pazzo, lodano ed esaltano il marchese savio e generoso, e passano la sera in ottima allegria.